Insegnare a colori (di Francesca Bormolini - insegnante)

 


(tempo di lettura 1:50 min)


Il termine colorblindness, che si traduce in italiano come daltonismo, viene spesso utilizzato in inglese per descrivere l’atteggiamento di chi per evitare di cadere in discorsi razzisti, utilizza la frase “Siamo tutti uguali”. Questa frase che ci viene insegnata anche a scuola, con buone intenzioni, secondo me è vera solo in parte. Lavorando con i ragazzi, o semplicemente camminando per strada, ci accorgiamo di come anche solo fisicamente siamo tutti diversi. Affermare che siamo tutti uguali evita forse di usare un aggettivo o una parola di troppo che potrebbe risultare offensiva per un altro, ma così facendo si cancella ogni differenza. Ci limitiamo ad essere categorie: italiani, inglesi, adulti, adolescenti, studenti, lavoratori… ma non siamo forse un po’ di tutto questo, ma anche molto di più?

Lavorare con i ragazzi, mi ha spesso messo di fronte a questa realtà. E non parlo della varietà multiculturale delle nostre classi, ma del fatto che ogni ragazzo ha una storia, sogni, idee e soprattutto tempi diversi. Se penso a come un insegnante dovrebbe comportarsi per rispettare le differenze o l’unicità di ognuno, mi viene in mente un’idea che chiamerei insegnare a colori

Da insegnante mi rendo conto che è molto difficile, se non impossibile, pensare ad un programma individuale e mirato per ognuno dei nostri studenti. Ma non si tratta neanche di questo.

Insegnare a colori, secondo me, vuol dire continuare a reinventarsi. Anche quando troviamo un metodo di insegnamento che funziona per molti alunni o che ci è comodo, dobbiamo continuare ad immaginare alternative. 

Le lezioni che proponiamo devono arrivare, seppur in modo diverso, a quello studente che ha mille domande e curiosità, che è sempre con la mano alzata, così come a quello che si addormenta sul banco in ultima fila. Perché certo, di fronte a noi abbiamo un gruppo di alunni della stessa età, ma non bastano queste caratteristiche comuni per fare bene il nostro lavoro. Bisogna andare oltre, riconoscere e rispettare l’unicità degli alunni. Si dovrebbe smettere di preoccuparsi tanto se un ragazzo resta più indietro rispetto ad altri, perché con i suoi tempi e le sue modalità arriverà ad un risultato.

Nelle classi a scuola c’è chi è un genio in matematica già in seconda media e chi lo diventerà solo in quinta superiore, ma c’è anche chi non lo diventerà mai, perché in fondo è un grande artista o un ottimo cuoco e va bene così.  

Abbiamo quindi il compito di rispettare i tempi e le differenze di chi ci sta di fronte, non per cancellarle o soffocarle, ma per provare a farle fiorire, consapevoli che ognuno ha in sé una sfumatura diversa di vari colori.

Dobbiamo superare quel daltonismo che ci fa vedere solo un insieme di punti grigi, laddove ogni colore, invece, contribuisce a creare un bellissimo quadro.


di Francesca Bormolini


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