Voce del verbo: "addomesticare" (di Chiara Confortola - educatrice e danza-movimento terapeuta)

 


Il mio ruolo è Assistente Scolastico.
Non faccio l’assistente scolastico, SONO assistente scolastico.
Insieme a questo sono educatrice.
L’ambiente scolastico lo vivo ogni giorno, in maniera diversa rispetto al contesto, all’utenza e al gruppo docente con cui lavoriamo. Non vorrei soffermarmi sui compiti che ci spettano, quanto più sulla difficoltà di mantenere il nostro ruolo in situazioni particolari delle quali siamo spettatori e, forse, anche attori.
Vorrei condividere con voi un avvenimento.
Sono in classe e noto una bambina in difficoltà, la ascolto e accolgo ciò che si sente di raccontarmi. Inizia a piangere e percepisco che è agitata. Cerco di rassicurarla dicendole che è bello esprimere questo sentire. Viene richiamata per tornare al suo posto, seduta nel cerchio. Le lacrime scivolano sul suo viso. L’insegnante lo nota e con un tono di voce deciso le dice: «Smettila di piangere, non serve a nulla, non ce n’è proprio bisogno!». Io sono dubbiosa, chiudo per pochi secondi gli occhi e spero di essermi sbagliata. Non è così. Mi sento impotente e non posso intervenire. Cerco lo sguardo dell’insegnante per poterle comunicare che posso prendermi un momento con lei per tranquillizzarla, ma non sono fortunata.
Guardo la bambina, nella distanza le faccio capire che va tutto bene e che le lacrime possono scendere.
In questo senso di frustrazione che, come assistente, sto vivendo mi domando: «fino a dove possiamo spingerci per il ruolo che abbiamo in un contesto scolastico che tanto insegna e istruisce e che talvolta purtroppo, per svariati motivi, lascia correre?»
Mi riferisco all’accaduto e all’importanza di portare nelle scuole, negli alunni e nel gruppo docente, e ancora più in generale nel mondo adulto, un percorso che educhi alle emozioni nella semplicità della loro natura. Se arriva un’emozione, piacevole o spiacevole, è fondamentale saperla accogliere senza porre giudizio. È necessario un allenamento per poter riconoscere e gestire e noi dobbiamo essere allenati prima ancora di essere allenatori. È un percorso di crescita che porta i bambini a sviluppare la propria competenza emotiva. Noi educatori possiamo essere il tramite delle relazioni sociali che si instaurano per dar vita a legami più consapevoli. Possiamo iniziare ad accogliere ciò che arriva dai bambini e dai ragazzi e avvicinarci un po’ più a loro, “addomesticarli”, per utilizzare un’espressione da “Il Piccolo Principe” di A. De Saint – Exupéry. Cosa è necessario per “addomesticare”?
«Bisogna essere molto pazienti. In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…»
Abbiamo il compito di avvicinarci e farli avvicinare, rispettando i loro tempi e i loro modi per farlo. In una classe, in un centro di aggregazione, a casa, in oratorio…facciamo spazio alle persone che esprimono le loro emozioni perché può prendere vita un cambiamento che se nasce da dentro ognuno di noi, può portare a qualcosa di significativo.
Io in quella classe per il ruolo che ho, non ho avuto il permesso di intervenire. Dopo uno sguardo accogliente alla bambina in lacrime, sono uscita dalla classe, ripetendomi che probabilmente ho sbagliato a non dire la mia sull’emozione che stava vivendo perché in quel momento il mio posto era accanto a lei.
E poteva essere il primo passo.

di Chiara Confortola

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